LA FAVOLA DELLA VOLPE E L'UVA...SCONFITTA E RINUNCIA SONO LA STESSA COSA?

La domanda è semplice ed è lecito chiedersi se sia davvero così: la ritirata alla vetta possiamo considerarla una sconfitta in montagna? C'è disonore nel rinunciare al proseguimento di una via? Infine, quando è giusto ritenersi soddisfatti di una uscita e quando delusi?
Considerazioni personali sulla mancata riuscita di un progetto in montagna...



Chi non conosce la favola della volpe e dell'uva di Esopo?
"Una volpe affamata, come vide dei grappoli d'uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: «Sono acerbi.» Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze." (Wikipedia)

Il significato? Sempre citando Wikipedia: reagire a una sconfitta sostenendo di non aver mai desiderato la vittoria, o disprezzando il premio che si è mancato di ottenere.

Ho voluto iniziare citando questa favola in seguito ad una uscita "mal riuscita" di qualche giorno fa. Ma andiamo con ordine...

Sono ormai un paio di mesi che pensavamo di fare questa via di arrampicata di 9 tiri, di grado IV+. Fin qui tutto ok, l'importante è partire presto e fare le cose per bene...la via è lunga ma la difficoltà non è elevata quindi decisamente alla nostra portata.
Così partiamo presto la mattina e alle 9:30 il capocordata parte ma da subito qualcosa non va per il verso giusto e alle 12:30 decidiamo di ritirarci con una doppia. Questa in sostanza la storia.

Ora quello che voglio analizzare non sono le motivazioni della mal riuscita (problemi fisici? concentrazione? sfortunate coincidenze? non importa...) ma se il ritirarsi prima di arrivare in vetta sia un'onta che ci perseguiterà a vita!

Inizio subito col dire che "NO!", per me non è una sconfitta decidere di fermarsi prima di arrivare. Il perché è semplice: ci sono tanti fattori e condizioni da valutare e questi fattori possono cambiare anche in corso d'opera. Si deve avere l'umiltà e l'intelligenza di sapere quale sia la cosa giusta da fare, anche se questo comporta la rinuncia della metà. 

Possiamo ritenerci soddisfatti in questo caso? Non nella misura in cui ci saremmo aspettati, questo è certo. Ma perché abbiamo deciso di rinunciare? Perché è sopraggiunto qualcosa che ha modificato la regolare progressione. Facciamo qualche esempio: problemi fisici o psicologici, problemi meteorologici, problemi di percorso, problemi di tempo, problemi di attrezzature, ecc...magari altri tipi di problemi che non ho elencato.
Ecco perché io, pur non avendo raggiunto l'obiettivo prefissato mi posso ritenere soddisfatto: una situazione non programmata all'inizio cambia le carte in tavola ma dobbiamo essere sempre e comunque in grado di gestire i problemi in maniera lucida e sempre in sicurezza. Una semplice escursione può essere anche semplicemente interrotta e rieseguita a ritroso (anche se non è sempre così) ma in una via d'arrampicata? In una via d'arrampicata può non essere sempre possibile ritirarsi in modo semplice perciò sono dell'idea che anche sapere di aver risolto una situazione problematica con successo è di per se un successo.

Arrivo alla conclusione rispondendo alle domande iniziali.
Sconfitta e rinuncia sono la stessa cosa? A mio avviso no, rinunciare significa non arrivare in vetta...essere sconfitti significa non fare ritorno sani e salvi a casa.
C'è disonore nel rinunciare al proseguimento di una via? Di certo rinunciare prima della metà non ci porterà a segnare nel nostro "palmares" la via in questione ma ci vuole, come ho già detto, umiltà e lucidità anche nel rinunciare alla meta.
Quando è giusto ritenersi soddisfatti e quando delusi? Mi ritengo soddisfatto quando io e i miei compagni di avventura siamo a casa senza che nessuno si sia fatto male o peggio. Difficilmente mi ritengo deluso anche in una giornata in cui non ho raggiunto il mio obiettivo (come l'esempio in questione) perché so che abbiamo fatto comunque un buon lavoro se siamo tornati a casa interi. Punto.

Poi possiamo rimanere qui a disquisire sui problemi incontrati e sul fatto che potevano essere affrontati o gestiti diversamente, al termine della calata in doppia abbiamo discusso insieme sugli errori, sui problemi e su come evitarli una prossima volta. Anche se può sembrare scontato ci tengo a precisarlo: inutile accusarsi o scaricare colpe a vicenda...a casa siamo persone diverse ognuno con la sua vita, ma in cordata si è una cosa sola.

La sicurezza viene prima di tutto: la bravura di uno scalatore sta anche nel valutare come può evolversi la situazione e nel saper prendere le giuste decisioni per non mettere se stesso e la propria cordata in pericolo. 

Nessun commento:

Posta un commento